Avventura in Valtellina

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Dal Parco dello Stelvio a Livigno, fino al corso dell'Adda

Alla riscoperta dell'Alta Valtellina


Un trekking che vuole essere un atto di fiducia per una valle che, pur duramente colpita anche nell'immagine dalle frane e dalle alluvioni dell'estate 1987, offre come sempre gli scenari di un'abbagliante bellezza. L'articolo che segue è stato pubblicato sul mensile CAVALLO MAGAZINE (n.12 Ottobre 1987). Il testo e le emozioni sono del nostro Claudio Raja.
Itinerario -  Alla riscoperta dell'Alta Valtellina -  La Caduta -  Cinque per Cinque

Itinerario

Punto di partenza è il rinomato centro turistico di Ponte di Legno(1257 m.). Risalendo la Valle di Pezzo, i cavalieri hanno attraversato il Passo Gavia (2621 m.) per ridiscendere a Santa Caterina Valfurva (1700 m.). Percorrendo la valle sono giunti a Bormio (1200 m.). Costeggiando il bosco di Arsiccio e le torri di Fraele sono arrivati ai laghi di Cancano(1884 m.). Per il passo di Fraele (1952 m.), le sorgenti dell'Adda e il passo di V.Alpisella (2268 m.), hanno raggiunto il lago di Livigno e la cittadina extradoganale (1816 m.). Risaliti a Trepalle (2096 m.) per il Mottolino, sui crinali e per il passo della Vallaccia (2614 m.) si sono portati in Val Verva attraversando la Val Viola Bormina (1938 m.). Dal passo di Verva (2301 m.), scendendo lungo la Valle Grosina sono giunti al termine del viaggio nel paese di Grosio (656 m.).
 

Alla riscoperta dell'Alta Valtellina

Sono le 5.30 del mattino, l'aria è tersa, le saracinesche abbassate. Il silenzio della zona pedonale di Ponte di Legno è rotto dal rumore degli zoccoli dei cavalli. Il nostro solitario corteo incrocia inaspettatamente un gruppo di suore mattiniere. Siamo in cinque giovani di Gavirate e Caronno Varesino; abbiamo deciso all'unanimità di passare buona parte delle ferie a cavallo, lungo i sentieri dell'Alta Valtellina. La nostra prima meta è Santa Caterina Valfurva. La strada che porta al Passo di Gavia è abbastanza agibile; l'ultimo tratto, però, lo facciamo a piedi. Al Passo troviamo un'accoglienza eccezionale; spaghetti e del buon vino per noi, fieno a volontà per i cavalli.
La simpatica locandiera vorrebbe trattenerci fino a sera, ma se fin dall'inizio cominciassimo a non rispettare il programma....
A santa Caterina nessuno sa indicarci un luogo dove stallare i cavalli, perciò proseguiamo uscendo dal paese, sotto gli sguardi allibiti della gente, per bivaccare all'aperto. Un contadino un po' burbero ma in sostanza disponibile ci permette di occupare il suo prato. Accusiamo la stanchezza, tuttavia troviamo la forza di fare una buona "pasta al tonno". Cala la sera, niente fuoco, tutti a dormire.
Illusione: lo stallone Alj si agita a causa della presenza della baia Valeria; gli faccio un piccolo quanto inutile discorso di convincimento, poi si cerca di riprendere sonno. Non passano 10 minuti che stavolta è Mundial che ci sveglia, dopo essere riuscito a slegarsi. Passa mezz'ora e inizia a gocciolare. Adunata veloce, coperte e impermeabili ai cavalli, teli sulle selle e corsa verso il fienile già predisposto per i casi di emergenza. E non è finita: Gherardo si mette a "tagliare legna", anche se non è strettamente necessario. Decisamente è una notte poco riposante.
Alle 6.30 si riparte nella nebbia. Mundial, sulla cima di un dosso, decide di liberarsi di Massimo e di scendere a tutta velocità la cima percorsa. Incredibilmente incolume, ci aspetta sul fondo. Scendiamo a recuperarlo scoprendo che imprudentemente non era stato tirato il sottopancia in modo abbastanza energico.
Pochi Km. e costeggiamo la provinciale che porta verso Bormio; la gente è stranamente incuriosita e sosta al nostro passaggio. Tartine e tranci di focacce sono la nostra colazione. Poco più avanti troviamo un amico di Bormio, che avevamo contattato in precedenza, il quale è disposto a tenerci i cavalli, per l'ora di pranzo, nel suo maneggio. Si arriva finalmente in centro e come sempre il nostro arrivo suscita la curiosità e la felicità dei bambini.
I laghi di Cancano e le Torri di Fraele appaiono come un miraggio irraggiungibile; ore di cammino, curve e lunghi tratti a piedi ci sfiancano. Verso le 17.30 vediamo la galleria e i nostri animi si risollevano; la diga di Cancano si apre davanti a noi e mentre l'attraversiamo si alza un vento pungente, tanto da doverci raccogliere sui cavalli creando con essi, quasi un corpo unico. Oltre la diga le nostre silenziose speranze vengono esaudite: un piccolissimo albergo può alloggiarci ed è pure in grado di stallare i nostri cavalli.
Dopo il bagno, cena abbondante a base di pizzoccheri. Si beve, si ride, si beve ancora e si scherza fino a tarda sera, poi, prima di andare a dormire, si controllano i cavalli.
Al mattino presto, ci incamminiamo lungo la Valle di Fraele e prendiamo per la Valle del Gallo percorrendo sentieri stupendi (e molto stretti) fino al Lago del Gallo; lì il sentiero non è più praticabile ed è difficilissimo girarsi; con molta perizia approntiamo uno spiazzo fatto di pietre e ghiaione in modo che ci si possa voltare; fortunatamente ci riusciamo e ritorniamo verso la Valle di Frele. Il percorso all'inizio è sempre bellissimo e le ore passano senza quasi accorgersi. Imbocchiamo la Val Alpisella e subito il sentiero cambia; la forte salita che ci si presenta non spaventa i nostri cavalli, che dopo 20 Km. di strada non mostrano segni di stanchezza.
Le sorgenti dell'Adda ci indicano che siamo sulla via giusta e che la strada per Livigno è proprio questa. La discesa verso la cittadina ci appare molto più impegnativa di quanto descrittoci dalle guardie forestali e dalle guide alpine del posto.
Verso il ponte delle Capre il mio cavallo scivola e perde l'appoggio dei posteriori, il vuoto sotto di lui è subito da me percepito, e prima di qualsiasi avvertimento da parte dei miei compagni sono già a terra. Butto lo zaino (che rotola in modo impressionante a valle) e mi avvicino con molta cautela ad Allotri, il mio cavallo.
Gianfranco mi aiuta con molta prudenza e riesco a raggiungere Allotri sul bordo del precipizio. Con calma e aiutato da qualche parola in tedesco riesco a tirarlo sulla strada, poi, passato l'effetto dell'adrenalina mi avvio verso il gruppo.
Davanti ad un ponte stretto e basso siamo fermi. Sono già 9 ore di cammino. Stanchi, sporchi, sudati ed un poco demoralizzati, ci consultiamo sul da farsi. Giovanni vuole essere il primo a passare con Alj, poi tocca a Valeria, Mundial e ultimi sono i più grossi, Dinamite ed Allotri; passano a fatica ma ce la fanno. Li riselliamo (per passare abbiamo per forza dovuto togliere le selle) e ci incamminiamo lungo lo stretto sentiero che porta a Livigno. Poco dopo avviene la sequenza pariniana della "caduta", che mi fa rimuginare il verso "lungo il cammino stramazzar sovente".
Il giorno dopo, all'imbocco della Vallaccia, Giuseppe, che ci è stato di indispensabile aiuto, ci lascia al nostro destino; vorremmo abbracciarlo. Una rude stretta di mano ci fa capire che a Livigno avremo sempre un amico.
La Vallaccia è una valle che si estende sotto il paese di Trepalle e prosegue fra malghe e torrenti fino al passo che porta poi ad attraversare la Val Viola. Il percorso, dapprima agevole e graduale, diventa faticosissimo; il passo a quota 2200 mt. non arriva mai, si avanza a piedi e ci si ferma ogni 50/100 mt.; siamo sfiniti, io e Massimo non abbandoniamo mai lo zaino sui nostri cavalli, ma lo carichiamo sempre sulle nostre spalle. La difficoltà maggiore consiste nello scegliere la strada giusta (il sentiero non esiste più). I cavalli sono a posto, noi scoppiati, ma alla fine siamo al passo e dopo una breve sosta iniziamo la discesa. Circa un'ora dopo, troviamo una malga con della legna e Giovanni si impegna nella sua qualità di "chef" preparando il solito piatto di "bavette". Il dopo pranzo è "esplosivo": la caffettiera (moka) da sei persone scoppia. C'è chi scappa, chi corre al torrente per alleviare le scottature e chi, come me, si sveglia (io non bevo caffè). Massimo si ritrova con le orecchie un po' più lunghe (ha messo poca acqua o forse neanche una goccia nella caffettiera, ora si spiega l'accaduto).
Si riparte. La discesa è sempre uguale fino ad attraversare la Val Viola, poi ci si incammina verso la Val Verva. Lì, erroneamente, attraversiamo un prato; indubbiamente era la via più breve da percorrere per arrivare al sentiero che porta alla malga Verva. Bloccati da una voce di ragazzino, che ci invita senza mezzi termini ad uscire dal "pratone", ci fermiamo allibiti, e dopo le dovute scuse, lo stesso ci acconsente di attraversare; lo salutiamo da lontano e lo troviamo con tutta la sua famiglia che contraccambia il nostro saluto.
I cavalli sono eccezionalmente a posto; da giorni si sgroppano 40/50 Km. in 6/8 ore di marcia e non accusano il minimo disturbo. Dinamite, poi, è fantastico, non risente in modo alcuno del "volo" fatto 3 giorni prima, anzi, è sempre il più pronto.
Alla malga Verva per i cavalli non c'è posto; siccome di notte la temperatura scende di qualche grado sotto zero e gela tutto, decidiamo di proseguire più a valle, dove dovrebbe esserci un rifugio. Siamo seguiti dai fischi laceranti delle marmotte, le quali sono ben visibili ma fuggono appena ci avviciniamo. Il rifugio ci appare quasi come un miraggio ed i gestori del "Falk", marito e moglie, ci accolgono con tanto entusiasmo. Prima sistemiamo i cavalli (liberi al pascolo), poi noi.
Sono le 19.30, abbiamo fatto anche oggi circa 9 ore e mezzo di cammino.
L'indomani, cercando di evitare un sentiero pietroso, finisco in una piccola palude. Allotri sprofonda fino alla pancia ed io con i piedi ormai a terra scendo sotto gli sguardi divertiti dei miei compagni; il cavallo (1,73 al garrese) sembra un pony allungato. Tolgo tutto il carico, poi un colpo di briglia e di scatto si alza annaspando nella melma sino al sentiero; sembra a posto, ma subito notiamo la mancanza del ferro anteriore destro; Gherardo prontamente mette mano al ferro di scorta già predisposto. Si riparte. La strada per Eita è disturtta: si iniziano a vedere i danni ingenti dovuti all'alluvione.
Ma orami la nostra avventura è al termine. Percorriamo l'ultimo tratto della Val Grosina e pensiamo agli imprevisti che hanno reso, tutto sommato, ricca di avvenimenti e di ricordi la nostra vacanza equestre. Certamente torneremo ancora tra questi monti. A Grosio ci attende un'ultima novità: il paese è evacuato, e nel cielo volteggiano gli elicotteri del Terzo Corpo d'Armata.
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La Caduta

Sequenze mozzafiato lungo la discesa verso Livigno, poco dopo le sorgenti dell'Adda. Sulla seconda curva dopo il ponte delle Capre, si incontra un passaggio impegnativo anche se non proprio trascendentale, che offre circa 30 cm. di appoggio. Il buon Alj, come sempre, attraversa senza scomporsi, ma Dinamite è irrequieto e finisce per scivolare con il posteriore destro, e poi con tutto il corpo, verso valle.
La scena è impressionante; i cavalieri lo guardano arrancare senza potere fare nulla a causa dell'impossibilità di lasciare gli altri cavalli. Dinamite si ferma a metà costa, si aggrappa disperatamente alla poca vegetazione, ma una redine gli si pianta sotto lo zoccolo anteriore e lo costringe a girarsi verso valle: sembra proprio la fine. Durante la caduta, il cavallo sembra capire che deve ormai difendersi dalla nuda roccia senza disperdersi nel tentativo di aggrapparsi a qualcosa che lo possa trattenere; punta una gola rocciosa che porta verso il fiumiciattolo sottostante. La fine del volo, per fortuna, è una pozza d'acqua profonda 2 metri. Dinamite vi si adagia di peso e viene spinto fuori dalla sua stessa mole. E' vivo, sta in piedi e pare anche che non abbia nulla di rotto. Sembra un miracolo.
Molti metri più in alto, il gruppo affronta il passaggio e s'avvia alla ricerca di uno spiazzo dove legare i cavalli, mentre Gherardo, che portava Dinamite, si precipita verso valle. Arrivano anche gli altri. Al di là delle buone condizioni di Dinamite, la situazione è grave: non ci sono vie d'uscita. Tre del gruppo ritornano ai cavalli per scendere a valle e cercare aiuto. Brutte notizie: il soccorso alpino non è in grado di intervenire. Chiamare l'elicottero costa 2 milioni e mezzo di vecchie lire (circa 1300€ attuali), senza nessuna garanzia. E' ormai notte; anche Gherardo, sfinito dal freddo, è sceso a valle dopo aver sistemato Dinamite in qualche modo.
Stallati i cavalli, gli altri avevano fatto conoscenza con un simpatico personaggio di Livigno, Giuseppe, co-gestore dell'albergo "Cervo". E' lui a trovare la soluzione.
Alle 6 del mattino si riparte per il ponte delle Capre. Dinamite è tranquillo e sta abbastanza bene. Giuseppe gli toglie il ferro posteriore destro e ne mette uno buono; gli altri scavano nella montagna a forza di braccia e pale. Pian piano, viene costruito un vero e proprio sentiero pronto per essere collaudato. Si tenta il recupero. Gherardo è però spaventato, non vuole tenere Dinamite. Giuseppe prende la corda e parte. Il cavallo sale agevolmente il dirupo e si ferma sul punto più alto. Si è a metà dell'opera. Gli altri tirano il più possibile le corde di protezione, in modo da creare un parapetto nel punto più rischioso. E' l'ultimo pezzo. Dinamite e Giuseppe non sbaglianoun passo e arrivano sul letto del torrente. Dinamite è fuori, Gherardo (che fino a quel momento non aveva fatto altro che osservare timoroso) piange, tutti tirano un sospiro di sollievo ma nessuno sa parlare. Via, di nuovo verso valle con un pensiero nel cuore:
Grazie Giuseppe !!!
Dinamite scivola a valle
1. Aiuto sto scivolandooo...
Dinamite in fondo alla scarpata
2. Sano... nonostante il volo
Dislivello della caduta
3. Mamma mia che salto !!!
Primi soccorsi a Dinamite
4. Adesso cosa facciamo ?!?
Costruzione del sentiero di risalita
5. Idea! Creiamo un sentiero!
Giuseppe e Dinamite risalgono
6. Forza Dinamite, seguimi
Giuseppe e Dinamite risalgono
7. Dai che ci siamo !!!
In cordata per non precipitare
8. Il pezzo più ostico e poi ...
Finalmente in alto
9. ... eccoci arrivati !!!
Dinamite in posa da star
10. Che avventura da brivido!!!
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Cinque per Cinque

Le età qui riportate sono relative all'anno 1987. Fate voi i calcoli.
Claudio, 32 anni, all'epoca artigiano di Caronno Varesino ora si dedica a tempo pieno a "Il Frassino", ha percorso l'itinerario con il suo Allotri, 1,73 al garrese, castrone tedesco-bavarese, baio scuro, resistentissimo anche se piuttosto pigro.
Gianfranco, 27 anni, all'epoca il cavaliere con soli 2 anni di monta, ha svolto il trekking in sella a Valeria, dodicenne baia scura, un po' ombrosa ma infaticabile.
Massimo, 26 anni, titolare di un ristorante, ha avuto il suo da fare con un soggetto come mundial del Roero, purosangue di nove anni nato in Italia, sauro: un velocista molto brioso, irrequieto nelle situazioni difficili.
Più conciliante, benchè stallone, il cavallo di Giovanni, ventiquattrenne socio di Massimo: Alj, sella italiano, baio chiaro di buon carattere.
Infine, Gherardo, quarantunenne groom austriaco, a parte la disavventura raccontata qui sopra, ha potuto apprezzare le grandi qualità di un cavallo quasi da dressage come Dinamite, castrone tedesco-bavarese si nove anni, spavaldo e goloso.
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